Che cosa sono le ricerche zero-click?
Le ricerche zero-click sono query sui motori di ricerca che non generano alcun clic sui risultati organici o a pagamento. In pratica l’utente effettua la ricerca, ottiene la risposta desiderata direttamente sulla pagina dei risultati (la SERP) e non sente il bisogno di aprire nessuno dei siti elencati. Questo comportamento esiste da anni (si pensi alle definizioni, al meteo, alle conversioni di valuta fornite immediatamente da Google), ma oggi è divenuto estremamente comune. Studi recenti indicano che ormai la maggioranza delle ricerche web – circa il 58% negli USA e il 59% in Europa – si conclude senza alcun clic. In altre parole, per oltre una ricerca su due l’utente trova già in Google la risposta, grazie a snippet informativi, Knowledge Graph, risultati local… e adesso anche ai nuovi riassunti generati dall’AI.
Questa tendenza si è accentuata con l’arrivo delle panoramiche AI (come Google SGE), che forniscono all’utente un blocco di risposta molto approfondito e ricco di dettagli, spesso corredato da immagini e link di riferimento. Se prima un risultato in prima posizione poteva catalizzare l’attenzione e il clic, oggi in molti casi l’utente legge direttamente il biglietto riassuntivo offerto dall’AI generativa e considera conclusa la sua ricerca. Di conseguenza i tradizionali CTR organici sono in calo e molti siti vedono diminuire il traffico proveniente da Google. Le ricerche zero-click colpiscono in particolare le query informative (ad esempio “cos’è…”, “come fare…”, “perché…”) – il cuore dei contenuti editoriali e divulgativi – perché sono proprio quelle per cui Google riesce a fornire risposte immediate e complete.
Questo articolo si inserisce nel più ampio cambiamento che coinvolge tutta la visibilità organica. Per capire come restare rilevanti anche senza clic, leggi il nostro articolo sulla SEO AI nel 2026.
Perché l’AI generativa aumenta le ricerche senza clic
L’introduzione di Google SGE e strumenti simili ha cambiato le abitudini degli utenti in SERP. Google sta integrando l’intelligenza artificiale generativa nei risultati: attraverso l’AI Overview (Panoramica AI), elabora contenuti da più fonti autorevoli e li unisce in una risposta coerente, spesso mostrata in cima alla pagina. In pratica, Google diventa aggregatore e fornitore diretto di informazioni. Se un tempo l’utente vedeva dieci link blu e doveva cliccarne uno (magari il vostro sito) per trovare la risposta, oggi Google spesso gli porge la risposta su un piatto d’argento. Ad esempio, cercando “come scegliere un mutuo casa”, l’AI potrebbe mostrare un paragrafo riassuntivo con i consigli chiave estratti da vari siti di finanza personale, così che l’utente ottenga subito un quadro generale senza dover aprire articoli uno per uno.
È facile intuire perché questo porti a più ricerche zero-click: meno necessità di cliccare per approfondire. Google SGE è progettato per soddisfare query complesse direttamente nella SERP, e ciò cannibalizza i clic che un tempo sarebbero andati ai siti web. Sundar Pichai (CEO di Google) inizialmente aveva dichiarato che le risposte AI avrebbero stimolato più traffico verso l’ecosistema web, ma la realtà sta smentendo queste previsioni ottimistiche. Studi indipendenti (ad es. di Kevin Indig con dati SimilarWeb) mostrano chiaramente che quando è presente un risultato generato dall’AI le pagine viste calano e il click-through rate (CTR) verso siti esterni si riduce.
Va aggiunto che Google non è l’unico fattore: anche la crescita di motori di risposta alternativi (ChatGPT, Bing Chat e assistenti vocali) contribuisce al calo di clic verso il web tradizionale. Sempre più utenti, specie i più giovani, pongono domande direttamente a chatbot AI o cercano consigli su social media (TikTok, Instagram) e ottengono informazioni senza passare da Google. Il risultato complessivo è un ecosistema in cui ottenere risposte rapide senza navigare siti sta diventando la norma.
Impatto sulle PMI: meno traffico diretto, ma anche nuove opportunità
Questa evoluzione ha comprensibilmente messo in allarme molte piccole e medie imprese. Se il vostro sito aziendale perde posizioni o vede calare il traffico organico perché gli utenti non cliccano più, potrebbero diminuire le lead generate, gli iscritti alla newsletter o le vendite ecommerce. Ogni visita persa è un potenziale cliente in meno che arriva alle vostre pagine. Per PMI che magari hanno investito in SEO tradizionale per anni, il fenomeno zero-click può sembrare un colpo basso: mantenete il ranking in prima pagina, ma il traffico scende comunque perché Google trattiene l’utente.
Inoltre, le ricerche zero-click complicano le analisi. Ad esempio, vedrete impression su Google Search Console non seguite da clic; l’interesse c’è ma l’utente non arriva sul sito. Si perdono opportunità di retargeting (non avendo clic, non potete inserire cookie o pixel di tracking sul visitatore) e i dati sul comportamento utente si fanno più scarni. In sintesi, il funnel di acquisizione si accorcia ulteriormente: o l’utente trova subito ciò che gli serve (magari grazie ai vostri contenuti mostrati via AI) oppure passa oltre senza lasciare traccia.
Detto questo, non è tutto negativo. Chi ancora clicca sul vostro risultato dopo aver visto una risposta AI probabilmente è un utente più motivato e vicino alla conversione. Pensateci: se dopo aver letto il riepilogo generativo qualcuno sente il bisogno di approfondire proprio sul vostro sito, significa che cerca informazioni aggiuntive, dettagli specialistici o un prodotto specifico. È meno “curioso casuale” e più potenziale cliente qualificato. Molte PMI stanno infatti notando che, a fronte di un calo di volume di traffico, i tassi di conversione possono mantenersi stabili o persino migliorare leggermente, perché chi arriva è davvero interessato. In altre parole, le panoramiche AI fanno da filtro: i clic che perdono erano spesso visite superficiali, mentre quelli che rimangono sono utenti più caldi e propensi all’azione.
Non solo: la presenza massiccia di risultati zero-click obbliga le PMI a evolvere e cogliere nuove opportunità di visibilità. Ad esempio, se Google mostra direttamente informazioni sul vostro settore, potete comunque beneficiare in termini di brand exposure se il vostro marchio viene menzionato come fonte. In passato l’utente magari non conosceva il vostro brand finché non cliccava; oggi potrebbe leggerlo all’interno di un box AI (o notarlo accanto a un paragrafo citato). Questo può incrementare la familiarità col marchio e portare a ricerche di brand successive. In sostanza, una PMI potrebbe ottenere riconoscimento come voce autorevole in un certo ambito proprio perché i suoi contenuti vengono ripresi dall’AI – anche se l’utente non atterra subito sul sito. Nel medio termine, questo si traduce in maggiore fiducia, più ricerche del nome dell’azienda e un pubblico più propenso a convertire quando eventualmente decide di cliccare o contattarvi.
Contenuti di valore (anche senza clic): farsi citare dall’AI
Come possono le PMI trarre valore dal traffico organico anche quando l’utente non clicca? La risposta sta nel ripensare la propria content strategy in ottica zero-click. L’obiettivo non è più solo posizionarsi tra i primi risultati, ma diventare la fonte che l’AI sceglie di citare e incorporare nelle sue risposte. In pratica, se Google vuole tenere l’utente nella propria pagina, dobbiamo assicurarci che in quella pagina ci sia anche la nostra voce. Ecco alcune strategie efficaci:
- Strutturate i contenuti in modo “AI-friendly”: create pagine con una struttura chiara, suddivise in sezioni che rispondono ciascuna a una domanda specifica. Iniziate ogni sezione con 2-3 frasi riassuntive molto dirette (la risposta breve alla domanda), seguite da un paragrafo di approfondimento con dettagli, dati, esempi o storie originali. Questo formato a “blocco” consente all’AI di estrarre facilmente il succo (potrebbe usare proprio quelle 2-3 frasi come snippet) ma al tempo stesso, se l’utente clicca, trova valore aggiunto. Ad esempio, in un articolo “5 modi per migliorare la sicurezza informatica in azienda”, potreste aprire ogni modo con un breve statement tipo “Formare i dipendenti è fondamentale: un team consapevole riduce del 80% il rischio di attacchi”, seguito da dettagli, statistiche o un caso di studio. L’AI potrebbe citare la frase iniziale come risposta diretta, attribuendola magari al vostro brand, mentre solo chi visita il sito leggerà tutti i particolari.
- Fornite risposte concisi ma autorevoli: curate in modo maniacale i primi paragrafi dei vostri articoli o le definizioni nelle vostre pagine FAQ. Devono essere chiari, corretti e ricchi di informazioni utili. Ricordate, quelle righe potrebbero essere le uniche che l’utente legge (via AI) del vostro contenuto, quindi fate in modo che contengano già la sostanza e – se possibile – un accenno alla vostra esperienza/autorità. Ad esempio: “Cos’è il cloud ibrido? In parole semplici, è un modello IT che combina cloud privato e pubblico, permettendo alle PMI di mantenere il controllo sui dati sensibili senza rinunciare alla scalabilità e ai costi ridotti del cloud pubblico. Secondo la nostra esperienza come provider di soluzioni cloud, questa architettura riduce i costi infrastrutturali del ~30%…”. Un paragrafo del genere, se ripreso dall’AI, non solo risponde alla domanda ma comunica implicitamente che la vostra azienda ha competenza nel settore (“nostra esperienza come provider…”). È una forma di brand mention inserita in modo naturale.
- Contenuti unici che l’AI deve citare: investite nella creazione di asset che spiccano: ricerche originali, statistiche proprietarie, strumenti interattivi, confronti onesti e approfonditi, guide “definitive”. Le AI tendono a citare fonti che apportano qualcosa di nuovo e concreto. Se tutti ripetono le stesse nozioni, l’AI potrebbe pescare un qualsiasi sito; ma se voi offrite il dato aggiornato X, il calcolatore Y, lo studio su 100 PMI del settore Z, avete più chance di essere selezionati come fonte. Inoltre questi contenuti danno un motivo all’utente per cliccare: per quanto l’AI possa riassumere, non può (almeno per ora) replicare un tool interattivo o includere tutti i dettagli di una case study. Ad esempio, fornire sul vostro sito un configuratore o un quiz di autovalutazione legato al tema della query è un ottimo modo per trasformare una zero-click in un click volontario: l’utente vede che l’AI cita “<NomeBrand> – Strumento di diagnosi online”, e viene invogliato a provarlo. In sintesi, offrite più di ciò che l’AI può contenere in poche frasi.
- Uso intelligente dei dati strutturati: implementate markup schema.org appropriati (FAQPage, HowTo, Article, Organization, Product, ecc.). I dati strutturati aiutano Google a capire meglio i vostri contenuti e la vostra entità (brand), aumentando la probabilità che vengano estratti e mostrati. Per esempio, una pagina FAQ ben formattata può comparire direttamente come fisarmonica di domande/risposte in SERP, e le FAQ sono anche spesso incluse nelle risposte generative per arricchirle. Anche lo schema Organization con le informazioni sulla vostra azienda può alimentare il Knowledge Graph e far sì che l’AI riconosca subito il vostro brand come affidabile in un certo dominio. Pensate ai dati strutturati come a segnalibri che dite all’AI: “Ehi, questo è il contenuto giusto per rispondere a quella domanda”. Non meno importante, mantenete aggiornati e coerenti su tutto il web i profili del vostro brand (Google Business Profile, Wikipedia/Wikidata se possibile, social network): presenza e coerenza rafforzano la vostra autorevolezza agli occhi dei modelli AI.
In breve, la parola d’ordine è “diventare citabili”. La vostra SEO deve mirare a farvi apparire non solo nei risultati tradizionali, ma anche dentro le risposte AI. Come dichiarato in un recente approfondimento, non basta più essere in prima pagina: “bisogna comparire direttamente nelle risposte dell’IA”. In questo modo, anche se l’utente non clicca immediatamente, è come se avesse già incontrato il vostro sito – un primo contatto indiretto ma prezioso.
Spingere l’utente all’azione dentro le risposte AI
Uno dei timori delle PMI riguardo alle risposte AI è: “Se l’utente non arriva sul mio sito, come faccio a convertirlo? Come lo convincerò a fare qualche azione utile per il mio business?”. È vero, con le ricerche zero-click il contesto di conversione si sposta: l’utente può decidere di contattarvi, acquistare o approfondire altrove, il tutto senza passare dalla vostra homepage. Tuttavia, ci sono tattiche per incoraggiare l’azione anche all’interno (o a margine) delle risposte AI:
- Call-to-action implicite: benché non possiate inserire veri pulsanti o link promozionali nei contenuti che l’AI riassume, potete includere spunti che inducano curiosità o suggeriscano il passo successivo. Ad esempio, alla fine di un paragrafo riassuntivo potete scrivere “… scopri di più nelle nostre guide complete” oppure “… come applichiamo queste strategie in [Nome Azienda]”. C’è la possibilità che l’AI includa anche questa coda nel suo riassunto. Un utente che legge “guida completa” o vede il nome dell’azienda potrebbe essere invogliato a cliccare la fonte originale per ottenere quel di più. È un equilibrio delicato (non volete che sembri pura auto-promozione), ma un riferimento sottile al fatto che sul vostro sito c’è ulteriore valore da esplorare può fungere da CTA indiretta.
- Snippet con invito: Google SGE in genere mostra anche i link alle fonti da cui ha tratto le informazioni, spesso con una breve frase contigua. Assicuratevi che quella frase – che di fatto diventa il vostro “micro-snippet” nella risposta AI – sia attraente. Potreste posizionare nei vostri contenuti frasi del tipo “In breve, la soluzione X funziona così… (continua)” o “Nel nostro caso studio, questa tattica ha portato +20% conversioni”. Una formula del genere, se presa dall’AI, termina con dei puntini di sospensione impliciti: l’utente capisce che c’è un continua e potrebbe cliccare per leggere il resto. In pratica, lasciate aperto uno spiraglio che invogli chi vuole saperne di più.
- Branding forte e trust: se l’AI cita esplicitamente la vostra azienda (“secondo <NomeBrand>, …”), gran parte del lavoro è fatto: vi posiziona automaticamente come voce esperta. Per ottenere ciò, come detto, inserite riferimenti a dati o esperienze proprie. Un utente che legge il nome del vostro brand associato a un’informazione utile potrebbe decidere di cercarlo direttamente o ricordarlo per il futuro. Questo è un tipo di conversione meno immediata ma importante: la conversione da sconosciuto a consapevole del brand. Nel tempo, vedrete magari più traffico diretto o di ricerca brandizzata, segno che quelle impressioni senza clic stanno seminando qualcosa.
- Utilizzare risultati locali e rich snippet interattivi: se siete un’attività locale, sfruttate Google My Business e gli strumenti come Reserve with Google, messaggistica o pulsanti di chiamata. Un utente potrebbe fare tutto dalla SERP (chiamare, chiedere indicazioni, prenotare un tavolo) senza toccare il sito, ma è comunque una conversione per voi! Analogamente, altre funzioni verticali di Google (es. schede prodotto su Google Shopping con buy on Google) permettono all’utente di compiere azioni transazionali immediatamente. Assicuratevi di esserci: ad esempio, un ristorante dovrebbe curare menù, prenotazioni e recensioni su Google; un e-commerce potrebbe provare programmi pilota di acquisto direttamente in SERP. In questo modo catturate l’azione al volo, zero clic ma obiettivo raggiunto.
- Presidio delle piattaforme terze: “se la montagna non va da Maometto…”. Ovvero, se l’utente non arriva sul vostro sito, fate in modo di intercettarlo dove sta interagendo. Ciò può voler dire rispondere voi stessi alle domande su forum, community o gruppi social (diventando voi la fonte diretta); creare micro-contenuti su piattaforme come YouTube, Instagram, TikTok che possano comparire nelle ricerche (Google indicizza sempre più contenuti social); oppure fornire contributi su siti di settore autorevoli. L’utente magari leggerà un vostro consiglio su LinkedIn o un mini-articolo su Medium senza passare dal sito, ma può comunque contattarvi da lì o seguire i link al vostro profilo. Questa è strategia omnicanale: l’importante è convertire, non importa dove avviene il clic decisivo. Nell’era zero-click, la distinzione tra “sul mio sito” e “fuori” perde importanza: quello che conta è esserci con il messaggio giusto su tutti i canali pertinenti.
Modelli di conversione alternativi: tracciare e valorizzare ciò che conta davvero
Con meno clic da analizzare, come misurare il successo delle vostre iniziative digital? È ora di spostare l’attenzione dalle vanity metrics (tipo il numero grezzo di visitatori) a metriche di valore e nuovi metodi di tracciamento. Ecco alcuni suggerimenti:
- Focus su KPI di engagement e conversione reale: Se prima guardavate ossessivamente le sessioni organiche, ora concentratevi su dati come: quanti lead continuate a ottenere al mese? Quante vendite online? Il tasso di conversione del traffico organico è salito? Queste sono misure concrete dell’impatto sul business. Se nonostante il calo di visite le richieste di preventivo tengono, significa che state raggiungendo comunque il vostro pubblico in modo più mirato. Monitorate anche indicatori come il tempo sulla pagina o il bounce rate: un calo di traffico accompagnato da un aumento del tempo medio potrebbe indicare che la qualità delle visite è migliorata (meno curiosi casuali, più lettori interessati).
- Crescita delle ricerche di marca: Come accennato, uno degli effetti collaterali positivi delle risposte AI potrebbe essere l’aumento della brand awareness. Tenete d’occhio quante volte il nome della vostra azienda viene cercato su Google (dato disponibile in Search Console) o menzionato sui social. Un incremento delle brand searches suggerisce che, pur non cliccando subito, gli utenti memorizzano il marchio e magari lo cercano direttamente più tardi per approfondire o contattarvi. Questo è un segnale di salute importante in un mondo zero-click.
- Tracciare le visite provenienti da strumenti AI: Può sembrare paradossale, ma alcuni utenti dopo aver letto una risposta AI cliccano comunque sul link della fonte (presente in SGE) – generando quindi una visita al sito, spesso etichettata in Google Analytics come referral particolare (es.
source: google / medium: organiccon parametri aggiuntivi). Configurate filtri o segmenti in GA4 per identificare questi casi. Ad esempio, potete filtrare per sessione proveniente da “/search” con parametri generativi o utilizzare pattern noti condivisi dalla comunità SEO. Anche se i volumi sono modesti, vi aiuterà a capire quali contenuti funzionano meglio all’interno delle risposte AI (visto che portano curiosi ad approfondire). - Monitorare citazioni e menzioni AI del brand: Strumenti di terze parti e tecniche creative possono aiutarvi a scoprire se e come il vostro brand viene citato dalle AI (ad esempio su ChatGPT, Bard, Bing). Alcune aziende stanno impostando workflow automatici – ad esempio usando le API di ChatGPT con domande ricorrenti sui loro temi e monitorando se nelle risposte appare il nome dell’azienda o riferimenti ai loro prodotti. Sembra fantascienza, ma iniziano a vedersi tool per l’AI Reputation. In mancanza di strumenti pronti, potete fare test manuali: chiedere all’AI del settore di parlare dei migliori fornitori in X e vedere se menziona voi. Se no, lavorate sul content e PR finché accade! È una nuova forma di posizionamento, invisibile nelle SERP ma cruciale.
- Valutare interazioni su piattaforme terze: Se avete implementato strategie omnicanale, sommate i risultati. Ad esempio, meno traffico organico ma più contatti da Facebook? Meno pagine viste ma più persone che scrivono su WhatsApp dopo averci trovati su Google Business? Queste sono conversioni ottenute senza passare dal via, e vanno sommate al totale. Consigliamo di impostare un foglio di lavoro o un report che mensilmente tiri le somme di tutte le lead e vendite indipendentemente dalla fonte specifica. Così avrete un quadro chiaro: magari il traffico organico web è calato del 20%, ma se nel frattempo i contatti via form + chat + social sono aumentati e compensano, siete ancora in crescita.
In sintesi, dovete ridefinire cosa significa “traffico di qualità” e “conversione” nel contesto attuale. Se il vostro sito web diventa solo una delle tante porte d’accesso al brand, assicuratevi di tenere aperte anche le altre porte e di misurarne le performance. Potrebbe emergere che, pur con meno visite, state convertendo quasi lo stesso numero di utenti – il che significa maggiore efficienza! L’importante è non fossilizzarsi sui numeri di una volta, ma abbracciare KPI più aderenti al nuovo customer journey frammentato.
Errori da evitare nel tentativo di forzare i clic
Di fronte ai cambiamenti epocali della SERP, è naturale pensare a contromisure drastiche. Tuttavia, alcune mosse istintive possono rivelarsi controproducenti. Ecco cosa NON fare nel mondo zero-click:
- Nascondere informazioni chiave sperando nel clic: un grave errore sarebbe scrivere contenuti volutamente vaghi o incompleti nelle prime righe per “obbligare” l’utente a cliccare il vostro sito per capire davvero. Questa strategia non funziona con l’AI (che preferirà citare qualcun altro che fornisce la risposta completa) e irrita gli utenti. Meglio dare subito il meglio: paradossalmente, più valore inserite nello snippet iniziale, più aumentate la vostra autorevolezza e la possibilità che l’utente scelga proprio voi se decide di approfondire.
- Clickbait e titoli fuorvianti: attirare l’attenzione con titoli sensazionalistici per ottenere il clic a tutti i costi è una strategia già poco saggia in passato, che diventa dannosa ora. Se l’AI percepisce un mismatch tra titolo e contenuto, potrebbe ignorare il vostro sito come fonte. Inoltre, l’utente che dovesse cliccare e sentirsi tradito da un contenuto di scarso valore abbandonerà subito (e probabilmente non tornerà). In un ecosistema dove i clic sono meno, puntate alla qualità di ciascuno di essi, non alla quantità.
- Bloccare gli crawler AI: alcuni siti hanno provato a impedire agli agenti come Google-Extended o GPTBot di accedere ai propri contenuti (via
robots.txt), nel tentativo di non “regalare” informazioni all’AI. Questo è un boomerang: se l’AI non può leggere i vostri contenuti, semplicemente citerà qualcun altro. Vi condannate all’invisibilità. A meno che il vostro modello di business non sia basato su paywall stretti o dati proprietari ultra-sensibili, consentite l’accesso ai crawler delle AI generative. Meglio essere presenti (e magari ottenere un credito/link) che assenti dalla conversazione. - Ignorare l’esperienza utente post-clic: proprio perché chi clicca oggi è più selezionato, dovete fare di tutto per capitalizzare quei clic. Ciò significa niente pagine lente o non ottimizzate su mobile, niente interstitial invadenti appena l’utente arriva. Se già è tanto che ha deciso di venire sul sito, non fatelo scappare per questioni tecniche o di UX scadente. Curate quindi prestazioni (Core Web Vitals), usabilità e layout mobile-friendly. In più, assicuratevi che sulla pagina di destinazione ci sia una chiara call-to-action (acquisto, contatto, iscrizione) ben visibile: l’utente motivato non deve faticare per convertirsi.
- Misurare il successo col metro sbagliato: come detto, fossilizzarsi sul traffico bruto in entrata è fuorviante. Un errore comune sarebbe dichiarare fallimentare una strategia SEO perché le visite organiche calano del X%, ignorando però che la qualità di quelle visite è salita. Evitate reazioni impulsive come “Tagliamo il blog, non porta più traffico come prima!” se poi quel blog è la base su cui l’AI vi cita e vi porta clienti in modo indiretto. Serve una visione più ampia: valutate tutto l’ecosistema prima di cambiare rotta drasticamente.
In conclusione, sopravvivere nella SERP AI significa evolvere senza snaturarsi. Le PMI italiane possono ancora ottenere grande valore dalla visibilità online, a patto di adattare le proprie strategie SEO e di content marketing al nuovo contesto. Non si tratta di “aggirare” l’AI, bensì di collaborarci: creare contenuti talmente utili e originali da diventare parte delle risposte che Google fornisce; costruire un brand autorevole che l’AI non possa ignorare; e tenere sempre a mente l’obiettivo finale, che non è il clic in sé ma la conversione e la soddisfazione del cliente. Così, anche in un mondo di ricerche zero-click, riuscirete a far crescere il vostro business – magari con meno visite, ma più valore per ogni visita. Questa è la nuova sfida (e opportunità) per il marketing digitale delle PMI: esserci dove conta, in qualunque forma l’utente ci trovi, e guidarlo per mano dal bisogno iniziale fino alla soluzione, anche se il percorso non passa sempre dalla nostra homepage. Adattatevi, sperimentate, e il vostro posto nell’era della ricerca AI non solo sarà salvo, ma più forte che mai.
Fonti:
Clickable.it, L’impatto dell’AI sulla SEO – Approfondimento sul nuovo approccio “SEO per l’AI”: diventare la fonte citata dall’intelligenza artificiale per mantenere visibilità e traffico qualificato clickable.it.
SparkToro & Datos, 2024 Zero-Click Search Study – Analisi sul comportamento degli utenti Google (USA, EU) evidenzia ~60% di ricerche senza clic clickable.it.
Roberto Serra, Growth Memo e Semrush smentiscono Sundar Pichai… – Dati 2025: le AI Overviews aumentano le ricerche zero-click e riducono CTR, occorre comparire direttamente nelle risposte AI roberto-serra.com.